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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Via Alibert (R. IV – Campo Marzio) (da via del Babbuino, senza uscita)

Il conte Giacomo d’Alibert, figlio di un intendente del duca Gastone d’Orleans, venne a Roma in qualità di segretario di Cristina di Svezia nel 1656.
Avendogli la moglie (Maria Vittoria Cenci) portato in dote una casa [1] in questa località, egli acquistò altre case vicine e, demolitele, costruì un gioco di pallacorda.

Il d’Alibert era in Roma una specie di impresario, sempre in angustie, ma, da Cristina di Svezia, fu nominato ambasciatore per trattare della questione sollevata dall'ambasciatore francese Créquy per l'uccisione di un suo servo, da parte delle guardie papali Corse [2], per cui Luigi XIV aveva fatto occupare la sede papale di Avignone.
Firmata a Pisa la pace, nel 1664, il conte seguitò la sua attività che fu continuata ed ampliata dal figlio Antonio.

Da una notizia si rileva che il “luogo  anticamente adibito a carcere di Tor di Nona, concesso alla veneranda Arciconfraternita della Carità nell'anno 1665, insieme alle case adiacenti, fu dato in enfiteusi, ossia in locazione perpetua, al conte d’Alibert , allo scopo di edificarvi, come fece, un celebre quanto ampio teatro”.

Ma sembra che ciò non bastasse perché nel 1718 sul terreno della pallacorda costruivano un teatro intitolandolo alle Dame.

Il teatro Alibert o delle Dame, che sorgeva all’angolo del vicolo Alibert con via Margutta, fu per qualche tempo il più elegante ed il più vasto dell’Urbe.
La costruzione dovuta a Francesco Bibbiena [3] (1656-1729) presentava una “curva irreale e scomoda” che venne criticata da molti, come pure la sua architettura con 6 ordini di palchi, che sembravano “le caselle di una colombaia”.
Questi palchi erano completamente nudi [4], costringendo i vari affittuari ad impiegare tappeti ed acquistare sedie per renderli abitabili. 
Completamente costruito in legno, venne nel 1859 demolito per essere ricostruito in mattoni dal principe Alessandro Torlonia (1800-1886), che lo dotò pure di caffè, trattoria e sale “con ogni comodità”.
La pulizia non ne era la caratteristica speciale, come si presentava del resto lo stato degli altri teatri romani.

Al servizio antincendi, provvedevano seralmente 4 pompieri che disponevano di altrettante tinozze d’acqua e di 2 secchi e dovevano ben guardarsi dalle numerose fiaccole di pece, da vari focarelli di carbonella, dall’immancabile focone del botteghino, dalle torce del lampadario centrale, dai lumi a olio, dalle candele dell’orchestra e dai famosi cerini, che si vendevano col libretto dell’opera, al fine di poterlo leggere anche durante la rappresentazione.

Il pubblico di allora è così decritto da un cronista dell’epoca:
Il teatro Alibert o delle Dame, era eccezionalmente vario: ad esso davano tono di mondanità principi, dignitari e cardinali con tutti i loro inseparabili satelliti. Durante lo spettacolo si pranzava, si sorbivano le bevande e gelati, si giocava, si scambiavano visite nei palchi, intrecciando conversazioni da una loggia all’altra, salvo a fare silenzio per le arie preferite, chiamate appunto “le arie del sorbetto” e non ci si asteneva  nemmeno dal compiere operazioni “qui s’en suivent”.
A rileggere le note di allora, si ha la prova che il pubblico si abbandonava spesso alla “crudeltà più triviale” e “alla viltà più scortese” tanto che nel 1721 [5] fu necessaria la pubblicazione di un editto col quale si minacciavano “frusta, tratti di corda e galera, si per motti e atti sconvenienti, si per disturbo della quiete durante gli spettacoli”.

Il palcoscenico era vastissimo ed adatto ai più vari spettacoli. Il sotto-palcoscenico poi, era di tale ampiezza, che vi si potevano costruire vie sotterranee per addestrarvi cavalieri e cavalli e carri e quanto poteva occorrere per rappresentazioni spettacolari.

Il giornale l’Eptacordo dà così notizia dell’incendio [6] del teatro:
la sera del sabato vi fu rappresentazione di prosa e di pantomima che terminò all’una circa dopo mezzanotte, ed alle 8 del mattino più non esisteva, perché era stato già divorato dal fuoco” un altro giornale: "Domenica scorsa arse dalle fondamenta il teatro Alibert; ciò era bello a vedersi dal Pincio”.

Sul luogo del teatro sorse poi un albergo anonimo, che, nel 1865, alloggiò  Franz Liszt, desideroso di non esser troppo lontano dalla principessa Carolina Savon de Wittgenstein che abitava al palazzetto Valadier al Babuino.

Dopo l’albergo, uno stabilimento di bagni, ed ora uno stabilimento tipografico.

Incendiato il teatro e chiuso l’albergo d’Alibert che lo sostituì, il nome è rimasto alla strada.

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[1]           Maria Teresa, figlia di un conte Cenci, sposa, nel 1662, Giacomo d’Alibert e gli porta in dote, oltre le case di cui sopra, anche una villa che si trova tra Via delle Mantellate e via degli Orti d’Alibert

[2]             Il duca Carlo de Créquy era ambasciatore a Roma nel 1662. Egli fu protagonista, con papa Alessandro VII (Fabio Chigi - 1655-1667), del cosiddetto incidente della Guardia Corsa. Le Guardie Corse del papa, dopo essere state provocate a Ponte Sisto da uomini del seguito del duca, attaccarono Palazzo Farnese, residenza dell’ambasciatore de Créquy, ferendo servi e camerieri di sua moglie e uccidendo uno dei suoi paggi. Luigi XIV chiese che il cardinal nipote di Alessandro, Flavio Chigi, venisse a scusarsi di persona per questo insulto e che una piramide fosse costruita a Roma in memoria delle riparazioni ottenute

[3] )           Costruito nel 1718, per incarico del conte Antonio Alibert, figlio di Giacomo, che vi aveva precedentemente fabbricato un gioco di pallacorda.

[4] )           Verso la fine del XVIII sec. agivano in Roma i Teatri: Tordinona, Granari, Pallacorda, Pace, Argentina, Valle, Capranica, delle Dame, e nei collegi Clementino, Seminario e Nazareno.

[5] )           Fino alla fine del secolo, non fu permesso alle donne di recitare, e la loro parte era sostenuta da castrati. Nel 1780, rappresentandosi al Teatro Alibert il “Rinaldo e Armida”, ballo eroico pantomimico, inventato dal Signor Onorato Viganò (1739-1811), fu così grande il fanatismo per Armida (Giacomo Tantini) che il conte Vendemini, in un sonetto, diceva che se l’Armida del Tasso fosse stata il Tantini, Rinaldo non avrebbe potuto sfuggire dai suoi baci amorosi.

[6] )           Nel teatro Alibert fu tenuto l’11 novembre 1846 un banchetto offerto da circa 600 romani a 300 patrioti non romani, convenuti a Roma per le feste del possesso di Pio IX.

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Via_Alibert

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Via Alibert
Istituto de Merode
Collegio San Giuseppe

Subito dopo la statalizzazione dell’Università della Sapienza, da parte del Governo Italiano, nel 1871, Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti – 1846-1878) incaricò Francesco Saverio De Merode (1820-1874), arcivescovo cattolico belga, di aprire un’attività universitaria, nel palazzo Altemps, chiamata “Università Pontificia”, animata da professori rimasti fedeli alla Chiesa Romana ed usciti dalla Università della Sapienza.
(Segue sotto l’ingrandimento...)

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Targa del Collegio San Giuseppe

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Targa di Proprietà al n.15

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